A mio figlio…
A mio figlio…
C’erano anni dove non esistevano le Pay Tv.
Non c’era Sky, Mediaset e nessuno parlava di diritti televisivi.
Alla metà degli anni 90 si iniziò con una partita serale
ed un canale si chiamava Tele +,
ma tutte le partite si giocavano alle 15.
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Le parole borse, bilanci, plusvalenze erano sconosciute.
A molti di noi sembrò strano anche vedere il nome del calciatore
sulla maglia della nostra squadra e vedere numeri che non erano
più quelli dall’1 all’11. Per noi la maglia era sempre appartenuta
all’A.S. ROMA, non al singolo giocatore.
C’erano anni dove andare allo Stadio era un piacere,
parcheggiavi dove volevi, compravi il biglietto prima della partita.
Ora devi parcheggiare a 5 km dallo stadio,
comprare il biglietto 10 giorni prima, esibire documento,
codice fiscele, tessera del tifoso (o simile).
C’era una volta uno stadio libero da gabbie e cordoni.
Oggi per entrare devi superare 4 ingressi, 5 tornelli,
esibire 3 volte il documento ed il biglietto della partita
ed essere perquisito 3 volte.
C’era una volta una Curva dove c’erani torce, fumoni, striscioni,
megafoni, muri umani, ragazzi e ragazze liberi
che per 90 minuti erano tutti uguali uniti da una passione.
Oggi c’è una Curva blindata, con centinaia di steward, celerini
e agenti in borghese, stile Argentina fine anni ’70.
C’era una volta uno stadio che era uno posto di aggregazione,
di divertimento e di libertà, dove poter amare i propri colori.
Oggi c’è uno “Stadio di Polizia”, che spara 8 anni di diffide preventive,
provoca i tifosi, divide le curve e vuole mostrare i muscoli
– di un sistema che sta fallendo in tutti i settori –
proprio nell’unico luogo dove la gente, almeno per 90 minuti,
si sentiva libera.
Mi spiace solo per te, figlio mio, che non hai potuto conoscere
quella curva, quello stadio, quella gente, quel clima.