Il sentimento delle cose (Racconto Ultras)
Il clamore era cessato. All’improvviso. Così come era deflagrato. Il rantolio di ossa in frantumi, come mazzi di fiammiferi spezzati dentro un pugno di pietra, si era dissolto nella scia di una sirena in dissolvenza.
I viali metropolitani, farciti di monossido di carbonio in evaporazione, si dispiegavano come una mappa tematica dei luoghi e della materia di cui si nutre la civiltà occidentale: solo asfalto e acciaio. La nostra è una civiltà basata sull’asfalto e l’acciaio. L’asfalto che qualcuno aveva appena masticato. L’acciaio che qualcuno aveva appena scaraventato contro qualcun altro.
Gli echi degli scontri davanti allo stadio sembravano non essere giunti ad intralciare l’inutile defluire verso le vetrine e le gelaterie del centro delle opulente famigliole borghesi. Gli Ultras Viola si erano nuovamente affrontati con i bresciani all’uscita dello stadio all’altezza di Via della Lama. Lo scontro era stato duro e liberatorio. I bresciani sapevano che un gruppo di ultras fiorentini avrebbe tentato una sortita fuori scorta per raggiungere a piedi la stazione e spargere disordine per le paciose strade domenicali della cittadina lombarda assopita.
Fu così che Brescia iniziò ad ardere. Erano le 18.06 ma sembrava mezzogiorno. Bengala e fumogeni colorarono a chiaro il cielo plumbeo e le lussuose vetrine delle boutique baluginavano di rosso incandescente prima di infrangersi in mille e mille schegge di vetro antiproiettile.
Gli Ultras del Brescia ribaltarono campane del vetro e cassonetti dei rifiuti dandogli fuoco ed elevando sinistre nubi nere e rosse verso il cielo saturo e costringendo i cittadini in automobile ad incolonnarsi ignari e nevrotici, strombazzando e bestemmiando verso la polizia urbana in motocicletta. Nel frattempo in stazione l’edicola ed il bar avevano abbassato le saracinesche non prima di vedere rimbalzare tavolini e colonne di quotidiani contro gli scudi di plexiglass.
I passeggeri in attesa dell’Intercity per Milano Centrale assaggiarono l’acre sapore dei lacrimogeni CS: i bambini iniziarono a vomitare in braccio alle mamme insultate come “troie” dai barbari in armatura e casco ed alcune distinte coppie di milanesi in visita domenicale alla città vecchia furono ripassati degli indiscriminanti manganelli di Stato.
E fu allora che riconobbe, nonostante passamontagna, cappucci e sciarpe viola a celare volti guerrieri, i suoi fratelli ultras della Fiorentina inseguiti dagli infami in divisa.
Lo scontro lo aveva raggiunto, sebbene quella domenica pomeriggio egli avesse fatto di tutto per tornare sano e salvo a casa. Lo scontro lo aveva raggiunto anche dentro la stazione ferroviaria. Mentre stava ragionando troppo sul suo essere ultras. Mentre faceva bilanci e confronti. Lo scontro lo aveva raggiunto, lì in stazione. E lì fu di nuovo tutto chiaro.
Il sentimento delle cose prese il sopravvento sulla ragione. L’animale di McLuhan aveva nuovamente divorato l’homo sapiens di McLuhan. Ora non doveva più comunicare per esistere. Ora doveva essere per esistere.
Solamente essere.
Zòon lògon ékon. Per dirla con Aristotele. Ossia un individuo fornito semplicemente di ciò che necessita.
Da una parte gli sbirri. Dall’altra loro. Ultras Viola o bresciani che fossero. Ora non contava più. Ora doveva solo riprendersi il suo ruolo. Lì in mezzo ai suoi fratelli. Nello scontro. Per coagulare il sangue infetto sulla pelle che non ha più resistenza. In nome del Sentimento delle Cose.
Complimenti bel racconto!